
Una recensione davvero onesta e professionale, da parte di Monica, per TI AVREI CHIAMATA NINA di Caterina Falchi, edito Alcheringa Edizioni.

Sinossi
Quando potrai raccontare la tua storia senza piangere, allora potrai dire di essere guarito
Pensavo fosse un libro su una donna che non è potuta diventare madre e, no, non lo è: è un misto di insulti e di frustrazioni provate dalla donna e non è affatto male.
L’ho trovato estremamente istruttivo su quali domande e non fare ad una donna nella fascia d’età classica, o che reputano classica, per evitarle dispiaceri. Personalmente io non ho mai fatto domande simili però mi sono state poste e so che danno estremamente fastidio.
Perché poi alla fine è tutto un viaggio.
Perché poi alla fine ci ritroviamo, volenti o nolenti, su questo treno che farà centinaia di fermate, attraverserà gallerie, farà salire e scendere migliaia di passeggeri, ma proseguirà imperterrito la sua corsa
Questo libro, nelle sue poche pagine, esprime tutta la sofferenza di una donna che si sente menomata per non riuscire a concepire un figlio e, oltre a quello, viene massacrata di domande o frasi di circostanza di persone che pensano di farle del bene; ma quanto puoi far del bene a infilare una lama appuntita in una ferita che non si rimargina? Tanto, ma la maleducazione e le frasi dette senza collegare il buonsenso, non aiutano per nulla. Non dite nulla, fate una miglior figura.
Molte persone dicono che il dolore lo sentono al cuore. Io, il mio, l’ho localizzato nello stomaco, forse il mio punto debole.
L’autrice ci inonda della sua esperienza e del suo grandissimo desiderio di diventare madre; quando diventa il tuo pensiero fisso, quando ci impazzisci e non riesci ad accettare che il tuo corpo non è adatto, purtroppo, a concepire un figlio ma, non volendo arrenderti, le provi tutte e devi sentire le sviolinate di amiche con prole plurima che restano incinte con lo sguardo; il disagio di vedere pancioni lievitare ovunque. Tutto ciò fa capire quanto questa donna sia forte e fragile contemporaneamente, quanta forza abbia a non mandare a quel paese il mondo ogni volta che le viene posta una domanda scomoda. Ma parlare del tempo è passato di moda?
Libro molto corto ma pregno di sentimento, di sofferenza e di indignazione.
La scrittura è molto agitata, come se volesse dire tutto d’un fiato ma non cade nel banale ne dello spiccio. Rivedrei qualche passaggio ma, nonostante tutto, mi è piaciuto; ho sofferto insieme a lei e mi sono arrabbiata insieme a lei.
… dalla sala ecografie senti il battito amplificato di un bimbo in scatola.
E fatichi a trattenere le lacrime.
E tu non sei più tu.
La tua pancia è vuota…
Copia digitale gentilmente fornita dall’autrice, in cambio di una recensione onesta

«Quando potrai raccontare la tua storia senza piangere, allora potrai dire di essere guarito»
Pensavo fosse un libro su una donna che non è potuta diventare madre e, no, non lo è: è un misto di insulti e di frustrazioni provate dalla donna e non è affatto male.
L’ho trovato estremamente istruttivo su quali domande e non fare ad una donna nella fascia d’età classica, o che reputano classica, per evitarle dispiaceri. Personalmente io non ho mai fatto domande simili però mi sono state poste e so che danno estremamente fastidio.
«Perché poi alla fine è tutto un viaggio.»
«Perché poi alla fine ci ritroviamo, volenti o nolenti, su questo treno che farà centinaia di fermate, attraverserà gallerie, farà salire e scendere migliaia di passeggeri, ma proseguirà imperterrito la sua corsa»
Questo libro, nelle sue poche pagine, esprime tutta la sofferenza di una donna che si sente menomata per non riuscire a concepire un figlio e, oltre a quello, viene massacrata di domande o frasi di circostanza di persone che pensano di farle del bene; ma quanto puoi far del bene a infilare una lama appuntita in una ferita che non si rimargina? Tanto, ma la maleducazione e le frasi dette senza collegare il buonsenso, non aiutano per nulla. Non dite nulla, fate una miglior figura.
«Molte persone dicono che il dolore lo sentono al cuore. Io, il mio, l’ho localizzato nello stomaco, forse il mio punto debole.»
L’autrice ci inonda della sua esperienza e del suo grandissimo desiderio di diventare madre; quando diventa il tuo pensiero fisso, quando ci impazzisci e non riesci ad accettare che il tuo corpo non è adatto, purtroppo, a concepire un figlio ma, non volendo arrenderti, le provi tutte e devi sentire le sviolinate di amiche con prole plurima che restano incinte con lo sguardo; il disagio di vedere pancioni lievitare ovunque. Tutto ciò fa capire quanto questa donna sia forte e fragile contemporaneamente, quanta forza abbia a non mandare a quel paese il mondo ogni volta che le viene posta una domanda scomoda. Ma parlare del tempo è passato di moda?
Libro molto corto ma pregno di sentimento, di sofferenza e di indignazione.
La scrittura è molto agitata, come se volesse dire tutto d’un fiato ma non cade nel banale ne dello spiccio. Rivedrei qualche passaggio ma, nonostante tutto, mi è piaciuto; ho sofferto insieme a lei e mi sono arrabbiata insieme a lei.
«… dalla sala ecografie senti il battito amplificato di un bimbo in scatola.
E fatichi a trattenere le lacrime.
E tu non sei più tu.
La tua pancia è vuota…»
