
La nostra Laura Baldo ci presenta L’OPPOSTO DI ME STESSA di Meg Mason, ed. HarperCollins.

Trama
PER TUTTI COLORO CHE ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA SI SONO SENTITI SBAGLIATI
“Questo romanzo, grazie a una scrittura formidabile, è commovente, esilarante e doloroso – oltre che bellissimo – dalla prima all’ultima riga.” Ilaria Bernardini
“Impossibile leggerlo senza piangere molto. Ma anche impossibile leggerlo senza ridere forte. Straordinario.” The Guardian
“Un romanzo che colpisce nel profondo delle emozioni. Un bestseller che ha scalato le classifiche inglesi.” The Times
“Martha Friel, la narratrice di questo romanzo folle e affascinante, vi renderà impossibile smettere di leggere.” People
Non passa giorno senza che a Martha Friel venga costantemente ripetuto quanto è intelligente e bella, una scrittrice brillante, amatissima da Patrick, il marito, che la venera da quando si sono conosciuti da piccoli. Un dono, come dice sempre sua madre, che non tutti hanno la fortuna di possedere, tantomeno una come lei. Insomma, Martha Friel non può davvero lamentarsi, è molto, molto fortunata.
E allora perché la sua vita è in pezzi? Perché Martha, alla soglia dei quarant’anni, è senza amici, praticamente senza lavoro e sempre, sempre triste? E come mai Patrick ha deciso di lasciarla?
Forse è solo troppo sensibile, una donna per cui vivere è più faticoso che per gli altri. O forse, questo è il suo sospetto, c’è qualcosa di molto sbagliato in lei. Qualcosa che le è esploso nel cervello come una piccola bomba a diciassette anni e che l’ha cambiata in un modo che nessun dottore o terapista è mai stato in grado di spiegare. Adesso Martha è costretta a tornare a vivere dai genitori, una coppia di artisti bizzarra e disfunzionale, e senza nemmeno il sostegno di Ingrid, l’irrefrenabile sorella. Eppure, forse, questa è la sua occasione per ritrovare un senso e capire se rassegnarsi a essere un caso disperato o tentare di scrivere un nuovo, migliore, finale per se stessa.
Meg Mason ha scritto un romanzo unico. A pochi giorni dall’uscita L’opposto di me stessa ha scalato le classifiche inglesi, diventando un cult celebrato da lettori e librai e in corso di pubblicazione in tutto il mondo.
La voce di Martha Friel è indimenticabile, empatica, autentica, emozionante e divertente. Capace di raccontare in maniera vera e originale una donna di oggi, ma anche di narrare il disagio mentale, l’incomprensione e la confusione del non ritrovarsi.

Un romanzo che racconta una storia difficile di presa di coscienza, quella di una donna che si interroga sulla propria vita, e sui motivi che l’hanno indotta a certe scelte o comportamenti, portandola al punto di rottura in cui si trova al momento.
Martha ha da poco compiuto quarant’anni e Patrick, il marito, la lascia poco dopo la festa di compleanno che le ha organizzato, e che lei non voleva. Apparentemente ci troviamo di fronte a una donna in crisi e a un marito poco sensibile, ma poi la storia torna indietro, ripartendo dall’infanzia di Martha, vissuta nei sobborghi di Londra insieme a una madre che ricicla pezzi di scarto per fare sculture che nessuno capisce e a un padre che ha un libro di poesie di prossima pubblicazione da anni. Oltre al padre, che si occupa sia di lei che di sua madre, con grande pazienza, il suo principale appoggio è la sorella Ingrid, più piccola di un paio d’anni e dal carattere vivace. Ma ha un sostegno ulteriore, una sorta di angelo custode armato di sottobicchieri, nella zia Winsome. È lei che tiene unita tutta la famiglia, organizzando con cura i pranzi di Natale già dalla primavera precedente.
A uno di questi pranzi Martha conosce Patrick, compagno di collegio di suo cugino Oliver, che a sua volta ha una storia difficile alle spalle: dopo la morte della madre, il padre l’ha spedito in una scuola esclusiva in Scozia e spesso si scorda di inviargli i biglietti aerei per rientrare a casa durante le vacanze. Patrick è di tre anni più giovane, e Martha non gli dà troppo peso, se non perché, un Natale dopo l’altro, diventa uno di famiglia.
In generale, Martha sembra poco interessata ai ragazzi, e ha problemi personali più pressanti di cui occuparsi. A diciassette anni infatti viene colpita da un male misterioso, che la spinge a mettere in atto comportamenti preoccupanti, come rifugiarsi per giorni sotto un tavolo a piangere. Comincia così un lungo calvario fatto di medici diversi, ognuno con una sua diagnosi, che vanno dalla mononucleosi, all’anemia alla depressione.
“Ma prendevo tutto ciò che mi veniva prescritto, e smettevo quando mi sentivo peggio o quando mi sentivo meglio. Perlopiù mi sentivo uguale.”
Inizia a prendere farmaci che a volte sembrano farla tornare a posto per un po’, ma solo fino alla crisi successiva. Si laurea in filosofia con molta fatica e subito dopo, in un periodo in cui è particolarmente su di giri, conosce l’affascinante Jonathan, mercante d’arte vanesio e narcisista, e lo sposa senza pensarci, solo perché lui l’ha proposto. Dopo pochi mesi divorzia e torna a casa dei genitori. Oliver le ha confidato che secondo lui Patrick è sempre stato innamorato di lei, ma quando, in piena crisi da divorzio, glielo chiede direttamente, lui nega. Grazie a un amico, che dirige la rivista per cui lavorava, riesce a trasferirsi per quattro anni a Parigi, lavorando in una libreria.
Quando ritorna a Londra, Patrick sta finendo la specializzazione come medico di terapia intensiva. I due si frequentano per un po’, da amici, finché lui non trova un lavoro stabile lì e le chiede di sposarlo. Martha si è ormai convinta che Patrick è l’unica costante nella sua vita, l’unico in grado di capirla e proteggerla da se stessa. Quasi subito però i problemi che si porta dietro riemergono: non è contenta della vita che fa, della sciocca rubrica di cucina che tiene, della villetta prestigiosa ma identica a tutte le altre nel quartiere, degli amici di Patrick, che lei si convince lo compatiscano.
Dopo otto anni di matrimonio, in cui Patrick fa il possibile per sopportare i suoi cambi di umore o scatti violenti, senza mai lamentarsi, Martha trova uno psichiatra che le dà la diagnosi giusta. A quel punto si arrabbia sia con la madre (che doveva saperlo) che con Patrick, che avendo studiato medicina avrebbe potuto intuirlo. Si convince che il marito sia insensibile, che l’abbia fatto apposta per sentirsi dire dagli altri quanto fosse buono e paziente a occuparsi di una moglie così difficile. Dopo l’ennesimo litigio, gli dice di andarsene. E lui stavolta se ne va davvero, perché anche se la ama non sa più cosa fare.
Torniamo così al punto in cui è partita la storia. Martha ora prende le medicine giuste, e pian piano riacquista un equilibrio, fa pace con sua sorella e sua madre e inizia a considerare la propria malattia dal punto di vista degli altri.
Proprio sua madre, distante per gran parte della sua vita, decide infine di aprirsi, condividendo una sofferenza che Martha riteneva solo propria:
“So che non è passato così tanto tempo, ma da allora ho capito: le cose accadono. Cose terribili, e tutto ciò che ognuno di noi può fare è decidere se succedono a noi o se, almeno in parte, succedono per noi.”
Potrebbe però essere troppo tardi per recuperare suo marito Patrick…
“Quando arrivai all’ultima pagina, il fatto che lo rivolessi disperatamente non era affatto una rivelazione. Lo fu invece, il piccolo, terribile motivo per cui l’avevo perso.”
La storia parte un po’ lenta, ma è scritta molto bene quindi riesce pian piano a coinvolgere nella vita della protagonista e della sua insolita famiglia. Il suo punto di forza è la grande capacità di introspezione e approfondimento dei sentimenti complessi di Martha, ma anche degli altri personaggi che le ruotano intorno, tutti ben definiti. Non si può non provare simpatia per Patrick, per Ingrid – che si lamenta in continuazione e con ironia per i troppi figli ma non fa molto per evitarli – e per la zia Winsome, che è davvero un angelo custode, sia per la sorella che per le due nipoti, grazie al suo senso pratico e alla discrezione con cui aiuta tutti pur senza mettersi mai in mostra, e anzi lasciandosi prendere in giro per il suo senso dell’ordine e le sue rigide abitudini.
Lo stile di scrittura, come dicevo, è ottimo e coinvolgente, arricchito e alleggerito anche dalle molte citazioni e dagli sprazzi di umorismo, pur restando essenzialmente una storia drammatica.
È un romanzo che fa riflettere, e questo vuol dire che riesce a far risuonare qualcosa anche nei lettori, a farli interrogare sulle proprie scelte e sui propri errori, che grazie al modo in cui la storia di Martha viene raccontata, sembrano assumere nuovi significati e possibilità. Faccio molti complimenti all’autrice, che raccontando la storia di una donna di oggi tutto sommato normale riesce a renderla interessante per altri e universale per le tematiche che affronta.
L’unica cosa che mi ha lasciata perplessa è la decisione di non rendere nota la diagnosi finale, quella giusta, ricevuta da Martha. La postfazione spiega che i sintomi riportati non corrispondono a nessuna malattia reale. Siccome la curiosità su quel male misterioso che le rovina la vita è uno degli elementi che spingono ad andare avanti nella lettura, delude un po’ scoprire che non ci fosse niente da scoprire. L’unico motivo a cui sono riuscita a pensare è che l’autrice non volesse mettere l’accento sulla malattia in sé, quanto piuttosto sul resto: la difficoltà delle relazioni umane e i punti di vista diversi su uno stesso problema.
Ad ogni modo, è una lettura profonda ed emotivamente coinvolgente, che consiglio, soprattutto a chi ama i libri che oltre ad appassionare fanno riflettere e i personaggi talmente ben descritti e approfonditi da rimanere impressi.
