Recensione: “COME D’ARIA” di Ada D’Adamo – ed. Elliot Edizioni

Spero che il mio abbraccio arrivi a Daria, Alfredo, e a Ada, lassù! Una lettura che spezza il cuore e rende forti. Ada è – non è stata – un esempio. COME D’ARIA di Ada D’Adamo, edito Elliot Edizioni.

  • Titolo: COME D’ARIA
  • Autore: Ada D’Adamo
  • Editore: Elliot Edizioni
  • Data di pubblicazione: 13 gennaio 2023
  • Pagine: 144

Titolo

Daria è la figlia, il cui destino è segnato sin dalla nascita da una mancata diagnosi.
Ada è la madre, che sulla soglia dei cinquant’anni scopre di essersi ammalata. Questa scoperta diventa occasione per lei di rivolgersi direttamente alla figlia e raccontare la loro storia.
Tutto passa attraverso i corpi di Ada e Daria: fatiche quotidiane, rabbia, segreti, ma anche gioie inaspettate e momenti di infinita tenerezza.
Le parole attraversano il tempo, in un costante intreccio tra passato e presente.
Un racconto di straordinaria forza e verità, in cui ogni istante vissuto è offerto al lettore come un dono.

* «Un libro magico… una gigantesca storia d’amore che sceglie di non fare mai i conti, addizioni e sottrazioni, quanto bene e quanto dolore. Ma non dimentica» Elena Stancanelli – La Stampa
* «Una storia d’amore luminosa e ingiusta come tutte le storie d’amore, ma di più. Leggere, leggere, leggere» Chiara Gamberale
* «Un libro toccante, straziante e pieno di vita. Leggerlo è come un attraversamento» Lisa Ginzburg
* «In questo libro c’è il dolore ma il dolore è vita… bisogna leggerlo, non si può sfuggire» Tiziana Panella, Tagadà, La7
* “Colpisce dritto al cuore!” Nadeesha Uyangoda, Internazionale
* “Un libro magnifico. Un meraviglioso dialogo tra madre e figlia… E’ di tutti, una storia così, è un dono: si dice grazie, in questi casi, e si sorride” Conchita de Gregorio, la Repubblica

Quando hai un figlio disabile cammini al posto suo, vedi al posto, prendi l’ascensore perché lui non può fare le scale, guidi la macchina perché lui non può salire sull’autobus. Diventi le sue mani e i suoi occhi, le sue gambe e la sua bocca. Ti sostituisci al suo cervello. E a poco a poco, per gli altri, finisci con l’essere un po’ disabile pure tu: un disabile per procura.

Ho pensato a mille modi per iniziare questa recensione e non sono riuscita a trovarne, nonostante abbia riletto tutte le annotazioni e seguito tutti i post-it. Quindi anche io mi affido a carta e penna – assolutamente virtuali – e le scrivo.

Carissima Ada, sono arrivata alla fine del tuo romanzo e vorrei dirti che mi hai allietato la domenica, invece no, hai fatto di meglio: mi hai donato forza. Non posso dirti che siamo sulla stessa barca, per abusare di una frase fatta; ma avendo compreso certe tue decisioni e la testa sempre alta in cui le hai affrontate mi sono sentita una stupida. Già.

Ora che sei cresciuta e io mi sono ammalata, l’incastro dei nostri corpi non è più possibile. Dopo tante notti insonni passate con te in braccio su e giù lungo il corridoio oppure a letto, tu distesa su di me (pancia contro pancia), o accanto a me (la tua testa pesante sulla mia spalla), adesso mi manca quell’intimità totale: respiro, odore, saliva e moccio, sudore, capelli incollati.

Anni fa, quando ho letto “invalida” messo nero su bianco sono scoppiata a piangere, eppure non cambiava niente da quel momento al giorno prima: qualcuno forse ora mi comprendeva di più. Poi lo specialista che non mi vedeva da venti anni (in cui ho lottato sola!) è rimasto perplesso nell’apprendere che pagavo le prestazioni, questo perché in tutta la situazione di m**** io sono sempre sopravvissuta senza chiedere mai. Prima ero giovane, neanche vent’enne. Con l’avviarsi della menopausa (quindi pre-, e al contrario di te naturale e a 40 anni) le mie articolazioni e ossa malandate hanno iniziato a fare bizze, con mezzo volto bloccato e senza la forza di trascinare le gambe. Non ho quel mostro con la C, so che la mia sarà una sofferenza lunga e sempre più dolorosa, iniziata a 19 anni. Tre mesi fa ho scoperto che mia mamma ha il mostro con la C, che le ha preso il sistema linfatico. Lei sì che è una donna con la D maiuscola e dice che quando tornerà a casa (quando, se vive con l’ossigeno?!) deve fare questo, quello… e tanto altro ancora. E io ho paura. Paura perché so che quel domani non esiste e spero che la permanenza da me sia lunghissima, per ovvi motivi. Paura che un giorno o l’altro precipiti tutto, o che le mie ossa cedano definitivamente. Piango la sera a letto, il giorno a lavoro da sola perché deve andare bene per entrambe, io devo essere forte con lei, ma la mia schiena ce la farà a sostenerla?

Tornata a casa, ero andata in bagno in cerca di una macchia scura. Ma non c’era niente. E nulla sarebbe comparso nei giorni successivi. Dovevi esserti aggrappata forte alle pareti del mio utero, durante quella breve, folle corsa. Eri già tu, quel giorno? O sei diventata tu per colpa mia?

Tu racconti delle tue gravidanze come una scelta difficile, e Daria è stata desiderata, sappiamo perché. Io non ce l’ho fatta a portare a termine le gravidanze e poco tempo fa la ginecologa mi ha detto è stato un bene, viste le mie patologie. Ma la mente non sta bene, penso al vuoto che avrò un domani e rifletto su ciò che hai detto anche tu, che più o meno è: “vale la pena partecipare a questa vita?”

Vivendo te, Daria, assorbendo la tua forza tra le pagine credo che si debba fare tutto il possibile, per non dirsi mai “se invece ce l’avessi fatta?”. Non mi arrendo, come hai fatto sempre tu. Spero solo che il tempo non sia tiranno e non so che darei per potertene regalare ancora e farti godere finalmente il tuo tempo anche con Alfredo. Perché non è mai tardi, e anche qui è il tempo a decidere. Io ho incontrato il vero amore a 32 anni, e non ero una ragazzina; solo il quel momento ho capito che desideravo diventare mamma. Oggi sarebbe stata, in condizioni normali, la nostra festa. Immagino che in silenzio Daria stia invocando la sua mamma meravigliosa, io quel bambino – sono convinta anche io che il primo sia stato un maschio! – mai nato, e l’altro che non è riuscito ad aggrapparsi. Speravo di meritarmi il suo abbraccio, non è stato così. Oggi so che, come con Francesca, potevamo essere amiche, per sostenerci. Ma ti ringrazio perché sei stata comunque l’amica solida che vorrei al mio fianco. Un giorno, Ada, ci conosceremo. Per ora spero ti arrivi il mio abbraccio, lassù!

Maika

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